La “Porticus Aemilia” era un immenso edificio (rispetto alle proporzioni modeste dell’edilizia dell’epoca) in opera incerta di tufo, lungo 487 metri e largo 60, che si estendeva con la fronte parallela al Tevere, lungo l’attuale via Amerigo Vespucci, con i lati brevi sulla “via Ostiensis” (l’attuale via Marmorata) e su via Beniamino Franklin, mentre il retro era situato leggermente più arretrato rispetto all’odierna via Giovanni Branca. L’interno era diviso da 294 pilastri in una serie di ambienti disposti su sette file longitudinali che formavano 50 navate, larghe ognuna 8,30 metri, coperte da serie di volticelle sovrapposte, per una superficie utile di 25.000 metri quadrati, utilizzate come ambienti di immagazzinaggio (“Horrea“).
Il nome deriva da quello dei costruttori, Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo, tribuni edili dell’anno 193 a.C.: di essa rimangono alcuni imponenti resti, riferibili al muro sud-orientale, in “opus incertum quasi reticulatum” in peperino e tufo di Monteverde e dell’Aniene, situati in via Beniamino Franklin (nella foto 1), Via Rubattino (nella foto in alto sotto il titolo e nella foto 2) e Via Florio (nella foto 3).
L’edificio digradava verso il fiume in quattro “navate” longitudinali, così che ognuna di esse potesse prendere luce da aperture poste nella cortina al di sopra del corpo antistante. Nulla resta dei moli e delle scale verso il fiume di età repubblicana, imputabili, secondo Livio, agli stessi censori impegnati nei restauri del 174 e radicalmente trasformati in età traianea. Le concamerazioni visibili nell’arginatura del fiume, alte circa 4 metri, costituivano l’argine nonché le costruzioni del corpo più avanzato della città annonaria, l’Emporium vero e proprio.
In seguito tutta la pianura del Testaccio, man mano che crescevano i bisogni della città, si andò colmando di edifici, in particolare di magazzini annonari. La “Lex Frumentaria” di Tiberio e Caio Gracco, con la conseguente distribuzione gratuita di grano ed altri generi alimentari alla popolazione della città, richiese la progressiva costruzione di nuovi magazzini: sorsero così gli “Horrea Sempronia“, “Galbana“, “Lolliana“, “Seiana“, “Aniciana“, dai nomi dei consoli in carica al momento della costruzione o dal nome dei proprietari o del costruttore. Tra questi, i più conosciuti sono gli “Horrea Galbana” (o “Sulpicia“), sorti nella vasta proprietà della famiglia dei Sulpici. L’edificio, costruito interamente in reticolato di tufo, era organizzato intorno a tre grandi cortili rettangolari e porticati ed era situato alle spalle della “Porticus Aemilia“, allungandosi fino a via Galvani. L’edificio fu restaurato dall’imperatore Galba ma la fase originaria può essere datata intorno al 100 a.C., come testimonia il sepolcro del console Sergio Sulpicio Galba rinvenuto nel febbraio del 1886.