Via Marmorata prende nome dai grandi depositi di marmi e pietre che a Roma giungevano via fiume o via terra e venivano ammassati in questo luogo in attesa di vendita o di lavorazione. Questa particolarità non appartenne solamente ai tempi di Roma antica, dato che fino alla prima metà del Seicento troviamo tracce di officine di marmorari lungo il fiume e attigue alla via, anche perché il Tevere aveva continuato a mantenere il ruolo di via commerciale, soprattutto per il trasporto di marmi: ad esempio, nel Cinquecento passarono attraverso via Marmorata i blocchi per erigere la Casina di Pio IV in Vaticano. Il tracciato della via ricalca il tracciato dell’antica “via Ostiensis” che, iniziando in prossimità del fiume dal “vicus portae Trigeminae” (dal nome della “porta Trigemina“), correva sotto il colle Aventino in direzione della “porta Ostiensis“: a tal proposito, ricordiamo che fino al 1920 Via Marmorata proseguiva fino in prossimità di S.Maria in Cosmedin, lungo il tratto oggi denominato Lungotevere Aventino. Degna di menzione risulta la presenza nella via dei resti dell’Arco di S.Lazzaro (nella foto in alto sotto il titolo), oggi purtroppo ridotto soltanto a fare da insegna ad un ristorante. Un tempo, prima che Via Marmorata venisse allargata, l’arco scavalcava la strada e costituiva quindi l’accesso all’Emporium, tanto da far pensare che l’arco fosse appartenuto agli “Horrea” o comunque con funzione di collegamento tra i grandi magazzini e le pendici dell’ Aventino. Nel 1400 l’arco divenne il principale passaggio per il pellegrini che si recavano alla tomba di S.Paolo, restituendogli così grande importanza e non tardò, dunque, ad ospitare una cappella dedicata a S.Lazzaro, protettore dei lebbrosi.
Nel Rinascimento l’arco acquistò un nome il cui toponimo non è ancora completamente stabilito: “Arco delle sette Vespe” e “Arco dei Vespilloni“, secondo alcuni dalle decorazioni poste sull’arco stesso, secondo altri dal nome di un’osteria posta a ridosso dell’arco. Per questo motivo la via fu anche chiamata “Via delle Sette Vespe“, nonché “Via del Gobbo“, dal titolare di una farmacia con questa insegna. Un’altra presenza molto caratteristica è rappresentata dall’edificio color ocra (nella foto 1) situato all’angolo con via Caio Cestio, unico sopravvissuto dei pochi che popolavano la piana del Testaccio anteriormente al 1870: si tratta dell’antico deposito delle polveri della Compagnia dei Bombardieri di Castel S.Angelo, che avevano il loro poligono sul Monte Testaccio.
> Vedi Cartoline di Roma
Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Arco di S.Lazzaro di E.R.Franz
Via della Salara di E.R.Franz