Ponte Fabricio collega l’Isola Tiberina alla sponda sinistra del Tevere, ovvero al rione S.Angelo. È il ponte più antico di Roma e sostituì, probabilmente, uno preesistente in legno; l’attuale fu costruito nel 62 a.C. dal “curator viarum” Lucio Fabricio, come ricordano le iscrizioni a grandi lettere incise ben quattro volte sulle arcate (nella foto 1), due nel lato a monte e due in quello a valle: “L(UCIUS) FABRICIUS C(AII) F(ILIUS) CUR(ATOR) VIAR(UM) FACIUNDUM COERAVIT“, ovvero “Lucio Fabricio, figlio di Caio (e) curatore delle strade, (ne) curò la costruzione”.
In seguito, dopo le gravi inondazioni degli anni 23 e 22 a.C., il ponte fu restaurato dai consoli in carica nel 21 a.C., Quinto Lepido e Marco Lollio, come ricordano le altre due iscrizioni poste sotto le precedenti: “M(ARCUS) LOLLIUS M(ARCII) F(ILIUS) Q(UINTUS) LEPIDUS M(ANII) F(ILIUS) CO(N)S(ULES) EX S(ENATUS) C(ONSULTO) PROBAVERUNT“, ovvero “I consoli Marco Lollio, figlio di Marco, e Quinto Lepido, figlio di Manlio, approvarono per decreto del Senato”.
Il piccolo arco centrale di piena (nella foto 2) custodisce un’altra iscrizione, anche in questo caso posta su entrambi i lati del ponte, che così recita: “EIDEMQUE PROBAVEIT“, ovvero “(Fabricio) anche approvò”.
C’è da precisare che il ponte risulta essere il più antico in verità del fatto che è tuttora in funzione ed ha mantenuto, nel corso di quasi duemila anni, la sua primitiva struttura: gli altri ponti che risultano essere più antichi o non esistono più come il “Sublicio” (difatti, quello attuale non ha nulla a che fare con quello antico) o non sono più in funzione come l’Emilio (cioè Ponte Rotto) o hanno subito danneggiamenti tali da doverlo ricostruire (anche se solo in parte) come il Milvio.
Nell’antichità Ponte Fabricio si chiamò anche “Pons Lepidi“, dal console Emilio Lepido che operò un restauro nel 21 a.C., “Pons Lapideus“, ovvero ponte di pietra, in virtù del materiale impiegato, “Pons Judeorum“, perché prossimo alla riva abitata dagli ebrei e, più recentemente, “Ponte Quattro Capi”, per le erme quadrifronti (nella foto 3) che tuttora esistono presso le due testate e che probabilmente sostenevano le balaustre originarie di bronzo. Queste ornarono il ponte finché Innocenzo XI Odescalchi, nel 1679, le fece sostituire con l’attuale parapetto: in questa occasione venne anche sostituito l’originario rivestimento del ponte costituito di blocchi di travertino con l’attuale di mattoni, come mostra l’iscrizione conservata ancora a capo di ponte verso l’Isola Tiberina. Il nucleo è composto da blocchi di tufo e di peperino. Le due grandi arcate, a sesto leggermente ribassato, poggiano su un pilone centrale, nel quale si apre un piccolo arco, destinato a diminuire la pressione delle acque sulla struttura durante le piene. Il ponte, oltre a rappresentare un comodo e nobile accesso all’Isola Tiberina, è stato anche, come ricorda Orazio, il luogo preferito per il suicidio di tutti coloro che volendo porre fine ai propri giorni si gettavano nel fiume. Il ponte misura 62 metri in lunghezza e 5 in larghezza.