Da un documento del “Regesto Farfense” sappiamo che il nobile romano Benedetto Campagna fondò, verso la metà del X secolo, un monastero dedicato ai “Ss.Cosma e Damiano in mica aurea” (perché costruito sulla sabbia presente sulle pendici del Gianicolo, dal colore lievemente dorato), più noto come S.Cosimato, appellativo derivato successivamente dalla contrazione dei due nomi. Cosma e Damiano erano due fratelli medici (detti anargiri, ovvero senza denaro, perché curavano gratuitamente i poveri) che furono decapitati, dopo lunghe torture, sotto Diocleziano nel 303 a Ciro, presso Antiochia, dove furono sepolti. I lavori di costruzione del monastero terminarono nel 1069 e nello stesso anno papa Alessandro II consacrò la chiesa, come ricorda la lapide rinvenuta nel 1892 e tuttora qui conservata. Nel 1229 Papa Gregorio IX assegnò il monastero ai Benedettini Camaldolesi che vi rimasero fino al 1234, quando lo stesso pontefice decise di affidarlo ad un gruppo di “Poverelle” inviato da S.Chiara, che all’epoca era “reclusa” con le sue compagne nel monastero di S.Damiano in Assisi (per questo motivo chiamate anche “Recluse di S.Damiano” o Clarisse), al fine, come disse il Pontefice, “di mitigare con la vita di preghiera e di sacrificio l’ira di Dio sulla città eterna”.
Ciò confermerebbe la diceria popolana che la nuova assegnazione del monastero alle Clarisse fosse dovuto al comportamento ed alla gestione “poco corretta” dei Benedettini. Nel 1246 le Clarisse operarono una prima ristrutturazione sia della chiesa che dell’edificio conventuale, anche grazie alle ricchezze messe a disposizione dalla famiglia della badessa Jacopa Cenci. Nonostante altri interventi di restauro nei due secoli successivi, l’intero complesso si trovava, nel 1475, in uno stato di totale fatiscenza che per scongiurarne la definitiva rovina intervenne papa Sisto IV, il quale fece riedificare dalle fondamenta la chiesa e parte del monastero. La chiesa di S.Cosimato (nella foto in alto sotto il titolo) presenta una semplice facciata in laterizi, con un bel portale quattrocentesco, scolpito da qualche allievo di Andrea Bregno, e con una cornice marmorea riccamente decorata con candelabri e recante sull’architrave la seguente iscrizione: “SIXTUS IIII PONT MAX FUNDAVIT ANNO IUBILEI MCCCCLXXV“, ovvero “Il Pontefice Maximo Sisto IV fondò nell’anno del Giubileo 1475”. Il portale consta di sei formelle scolpite a rilievo, delle quali quelle in basso riproducono due stemmi gemelli della donatrice suor Dionora Teti, le due in alto raffigurano S.Francesco e S.Chiara, mentre quelle centrali risultano mancanti. La parte superiore della facciata è costituita da due finestre ad arco che affiancano un occhialone e da un timpano triangolare sormontato da una croce. L’interno (nella foto 1), a navata unica rettangolare, presenta un bel soffitto ligneo e conserva alcune opere d’arte di un certo interesse, tra cui, nel presbiterio, a sinistra dell’altare maggiore, una “Madonna col Bambino tra S.Francesco e S.Chiara“, opera quattrocentesca di Antonio del Massaro, detto “il Pastura”, allievo del Pinturicchio.
Sull’altare maggiore, tra due colonne di marmo nero, si trova una moderna icona in stile bizantino che raffigura una “Madonna con Bambino”: questa è una copia perché l’originale, del XIII secolo, fu trasportato presso l’Istituto Centrale del Restauro e lì tuttora conservato, in quanto non fu ritenuta abbastanza sicura la sua collocazione sull’altare. Su questo dipinto si tramanda anche una storia miracolosa e leggendaria: si ritiene che originariamente si trovasse all’interno dell’antica basilica di S.Pietro, ricoperto di ex-voto per le grazie ricevute nei secoli. Nel Seicento fu rubato e, privato degli oggetti preziosi, gettato nel Tevere, dove rimase a galla e dove fu rinvenuto, sotto ponte Senatorio, da Papa Leone X in persona. Questi la fece collocare in un tabernacolo appositamente costruito sul ponte stesso ma al popolo non piacque la sistemazione tanto che venne tolta e collocata su un trave della chiesa di S.Salvatore a Ponte Rotto (che si trovava all’altezza dell’odierna piazza Castellani ma fu poi demolita per la costruzione dei muraglioni del Tevere). La Sacra Immagine rimase lì finché un giovane la vide emanare miracolosamente raggi di luce, per cui la staccò di lì e la consegnò ai monaci di S.Cosimato. Da segnalare infine che all’interno della chiesa, nella cappella laterale dedicata a S.Severa, è conservato un altare formato da frammenti del monumento funebre del cardinale Lorenzo Cybo provenienti dalla chiesa di S.Maria del Popolo, donato dal cardinale Alderano Cybo alle Clarisse di S.Cosimato.
La chiesa di S.Cosimato presenta un bel campanile romanico (visibile dal chiostro di Sisto IV nella foto 6) che si eleva tra le strutture moderne con i suoi tre piani, il primo a bifore su pilastro, il secondo ed il terzo a trifore su colonne e capitelli a stampella. Una fila di laterizi leggermente aggettanti sottolinea gli archetti e prosegue sui quattro lati, mentre la divisione dei singoli piani è ottenuta tramite un’elegante cornice marmorea da attribuire ai rifacimenti di un campanile più antico, effettuati al tempo di Sisto IV. Tamponato in più parti, il campanile possedeva una campana del 1238 fusa da Bartolomeo Pisano, conservata ora, insieme con altre vecchie campane ed alcuni reperti di scavo, in un ambiente che precede l’antica sala capitolare, ad est del chiostro. Nei secoli seguenti la storia del monastero vide i danneggiamenti causati dal Sacco di Roma nel 1527, quando le settanta monache dovettero lasciare il complesso di S.Cosimato per rifugiarsi nel monastero di S.Lorenzo in Panisperna, dove si trovavano altre consorelle, e dove rimasero per dodici mesi. Nel 1643, durante la costruzione delle Mura Gianicolensi, il monastero rischiò seriamente di essere demolito, ma il pericolo venne scongiurato anche grazie alla fermezza delle suore che si opposero con tutte le loro forze. Con decreto imperiale del 7 maggio 1810 il monastero venne soppresso ad opera del Governo francese in Italia: alle Sorelle fu assegnato il convento di S.Silvestro in Capite, anch’esso sede di altre consorelle.
Nel 1814 il monastero venne restituito alle Clarisse, anche se i pochi beni non venduti all’asta furono restituiti solamente l’anno successivo. Alcuni anni più tardi, durante gli scontri della Repubblica Romana (1848-49), le Clarisse furono nuovamente trasferite nel monastero di S.Lorenzo in Panisperna. La fine del monastero come sede conventuale si ebbe il 12 agosto 1891, quando la badessa ricevette l’ordine ufficiale di lasciare S.Cosimato con un Atto di esproprio della Congregazione Religiosa ed un successivo Atto di cessione e consegna del monastero al Comune di Roma per la trasformazione in ospizio. Attualmente ospita alcuni reparti dell’Ospedale Nuovo Regina Margherita, progettato negli anni Sessanta dall’architetto Alegiani e dall’ingegnere Secchi ed inaugurato nel 1970. Oggi l’unico segno della presenza dell’antico monastero sull’omonima Piazza di S.Cosimato è il grazioso protiro d’ingresso del XII secolo (nella foto 2) sostenuto da due colonne, una scanalata ed una liscia, con capitello composito e con una sopraelevazione più tarda, ma sempre medioevale, che un tempo permetteva l’accesso al complesso monastico, mentre oggi vi si accede dall’attiguo portale situato al civico 76 di via Roma Libera.
Nel cortile si trova un’antica vasca in granito (nella foto 3) trasformata in fontana nel 1731, come risulta dalla data incisa sul piede della balaustra che sostiene la tazza superiore quadrilobata, la quale si eleva su un piedistallo al centro di un’antica urna balnearia di granito bigio ornata di anelli e mascheroni scolpiti. Essa poggia su due semplici supporti dai quali fuoriescono due getti d’acqua che si versano nel sottostante bacino, di forma ottagonale, con angoli rientranti e arrotondati. Degni di nota sono i due chiostri del monastero, uno medioevale, realizzato intorno al 1230, l’altro risalente al restauro quattrocentesco di Sisto IV. Il primo (nella foto 4) è uno dei più grandi della Roma medioevale: di forma quadrangolare, ha due bracci che superano i 40 metri. Originariamente dai quattro pilastri angolari partivano gli archetti delle gallerie che dovevano correre in maniera continuativa, senza alcuna interruzione intermedia. Quando nel XV secolo Sisto IV fece costruire il piano superiore, per motivi statici furono necessari grandi lavori di consolidamento. Molti archetti vennero così murati ed altri furono sostituiti da pilastri in muratura, sui quali si impostarono robusti archi di scarico. Questi ultimi sono presenti soprattutto nel lato settentrionale ed in quello orientale, dove hanno formato sette campate che comprendono una serie di tre o quattro archetti, inquadrati da due pilastri.
Nel lato meridionale, sempre per bloccare la spinta della volta, furono applicati grandi speroni in muratura. Gli archetti, a doppia ghiera, sono tutti sostenuti da colonnine binate, prevalentemente antiche. La loggia superiore, come sopra menzionato realizzata all’epoca di Sisto IV, presentava una serie di arcate a tutto sesto sostenute da pilastrini ottagonali. Le arcate, ancora visibili nei due lati lunghi ed in quello occidentale, vennero successivamente murate: attualmente vi si aprono finestre moderne. Sotto i portici sono murate alcune epigrafi (nella foto 5), tra le quali quelle dell’abate Odimondo, di Margherita Maleti e di Alba Ermenegilda Acquaroni, la badessa che fece effettuare alcuni lavori nel 1756; interessanti anche i frammenti di iscrizioni, capitelli, sarcofagi e lastre tombali. Il cortile interno è occupato da un giardinetto, con alcuni resti antichi sparsi. Dal lato sinistro del chiostro, attraverso una breve scala, si giunge al secondo chiostro (nella foto 6), quello realizzato da Sisto IV.
Di minore ampiezza, è a pianta quadrata, con nove arcate per lato rette da pilastri ottagonali in travertino, arricchiti da bei capitelli a motivi vegetali (nella foto 7). Nell’ordine superiore si apriva una loggia architravata, ugualmente scandita da pilastrini ottagonali: in seguito venne chiusa ed anche questa loggia è attualmente occupata da finestre moderne. Nel cortile interno, tenuto a giardino, è posta una cisterna risalente ai tempi di Pio IX (nella foto 6).