La chiesa di S.Giovanni dei Genovesi (nella foto sopra), situata all’angolo tra via Anicia e Via dei Genovesi, testimonia la presenza della numerosa comunità genovese in questa zona, che fu costante nei secoli e che si espresse in una significativa attività commerciale soprattutto quando era in piena attività il vicino porto di Ripa Grande. Nel 1481 un ricco commerciante genovese, Meliaduce Cicala, tesoriere del Fisco Apostolico, alla sua morte destinò 3.000 scudi ed alcuni feudi situati in Sabina per la realizzazione di una chiesa e di un ospedale che doveva accogliere e curare i marinai genovesi ammalati. Con bolla del 21 febbraio 1482 Sisto IV, accolte le volontà testamentarie del Cicala, scelse nel rione Trastevere la sede di chiesa ed ospedale, nominando amministratrice della fondazione Cicala la Camera Apostolica. L’inadeguata amministrazione dei chierici di Camera fece sì che Innocenzo VIII, della famiglia ligure dei Cybo, con bolla del 2 gennaio 1489, dichiarò la Fondazione Cicala “Fondazione Nazionale Genovese”, l’Ospizio Cicala divenne Ospedale di S.Giovanni Battista dei Genovesi e stabilì che il Rettore della chiesa fosse eletto tra sacerdoti genovesi. Le spoliazioni subite durante il Sacco di Roma del 1527 e la confisca dei beni dell’ospizio determinarono la temporanea chiusura dell’ospedale nel 1550. L’anno successivo, per risollevare le sorti dell’istituto, intervenne il nipote del fondatore, il Cardinale Giovanni Battista Cicala, nonché Vescovo di Albenga, il quale, assecondato da Papa Giulio III, istituì la Confraternita di S.Giovanni Battista dei Genovesi, unica amministratrice dei beni dell’ospedale e responsabile della cura della chiesa. Per ben due secoli l’ospedale fu così in grado di fornire un’ottima assistenza medica non soltanto ai genovesi, ma anche ai liguri, per estendersi poi ai marinai siciliani, veneziani, pisani e marsigliesi, forse perché questi prestavano servizio su barche genovesi. Il Sodalizio vide i confratelli indossare il saio bianco e per insegna ebbero l’immagine di S.Giovanni Battista e l’emblema di Genova con la scritta “Societas Genoensium“. Nel 1576 Papa Gregorio XIII, con bolla del 13 aprile, concesse alla Confraternita la facoltà di liberare un condannato a morte nel giorno di S.Giovanni Battista. L’attività della Confraternita e dell’ospizio proseguì per oltre 150 anni, fino al 1704, quando per una progressiva ed inesorabile mancanza di fondi, l’ospizio venne chiuso, pur continuando a provvedere alla cura degli ammalati con il ricovero, mediante pagamento di una tassa, nel vicino Ospedale del Fatebenefratelli.
Con la chiusura dell’ospizio, anche la chiesa conobbe un periodo di oscurità e di scarsa manutenzione, tanto che rischiò di essere abbandonata. Un primo segno di rinascita si ebbe nel 1725 con la riconsacrazione dell’altare maggiore per volontà di Monsignor Sinibaldo Doria, Vescovo di Patrasso, poi con la riconsacrazione della chiesa stessa nel 1737 ad opera di Monsignor Gambanesi, Maestro delle Cerimonie Pontificie. Ma la vera rinascita si ebbe nel 1738 grazie al Marchese Giovanni Piccaluga, appaltatore della “gabella del sale” e Governatore della Confraternita, che accrebbe i beni della fondazione, provvide al restauro della chiesa e fece edificare a sue spese la Cappella di S.Caterina. Un successivo e radicale restauro si ebbe tra il 1843 ed il 1876, con un’interruzione nel 1849 quando alcune granate francesi, durante l’assedio della Repubblica Romana, caddero sulla chiesa danneggiandola gravemente. Il restauro riprese nel 1864, come testimoniato sul portale di accesso, e durò fino al 1876, restituendo l’attuale forma neoclassica grazie all’opera dell’architetto Luca Carimini. In questa occasione venne rinnovata la facciata ed i tre altari, collocata la balaustra tra il presbiterio e la navata, ampliata la porta comunicante con il chiostro e restaurata la sacrestia.
La facciata è divisa in due ordini da una cornice e presenta quattro paraste ai lati del portale con gli stipiti in travertino ed architravato, sormontato dall’iscrizione sopra menzionata e da una lunetta all’interno della quale si trova lo stemma di Genova. Il secondo ordine è caratterizzato da un ampio finestrone sormontato da un timpano triangolare. L’interno della chiesa, a navata unica, conserva un “Battesimo di Cristo” di Nicolas Régnier, il “Tabernacolo degli oli santi“, opera fiorentina della fine del Quattrocento, la quattrocentesca tomba di Meliaduce Cicala, opera di allievi del Bregno, ed una lapide che ricorda che nell’anno 1588 Pietro Antonio Lanza di Savona piantò qui la prima palma introdotta a Roma. Da Via dei Genovesi è possibile scorgere il bel campanile a vela, a tre fornici, atti a contenere altrettante campane: il fornice centrale, affiancato da due coppie di lesene, è sormontato da un timpano. Sul lato sinistro della chiesa vi è una piccola costruzione settecentesca ospitante la Cappella di S.Caterina, caratterizzata da 6 finestre, di cui le tre inferiori sono separate da lesene e decorate da cornici di gusto tardo barocco. Segue poi l’edificio (nella foto 1) utilizzato come ospedale, una costruzione bassa e lunga a due piani, divisi da una piatta cornice sotto la quale corre una fascia decorata con stemmi alterni della Repubblica di Genova e della famiglia Cicala, raccordati da festoni e bandinelle. Il bel portale di accesso (nella foto 2) presenta gli stipiti in travertino ed è affiancato da una serie di finestre anch’esse con stipiti in travertino.
All’angolo del palazzo è murato uno stemma marmoreo dei Cicala (nella foto 3) rappresentante un’aquila coronata. Al piano superiore, insieme ad altre 5 finestre, si nota una sesta finestra quattrocentesca con la caratteristica partizione a croce, sopra la quale si legge l’iscrizione “Ospitium Genoensium“.
L’ospedale si articolava intorno ad un bellissimo chiostro (nella foto 4) realizzato nella seconda metà del XV secolo ed attribuito a Baccio Pontelli. Le arcate a tutto sesto che delimitano il perimetro del piano inferiore (nove in ogni lato) sono rette da pilastri ottagonali in travertino, mentre la loggia superiore, ugualmente spartita da pilastri ma di dimensioni minori, è architravata. Sotto il portico destro si trova la porta di accesso all’oratorio della Confraternita, nel quale si trova il pregevole soffitto a cassettoni seicenteschi con stemmi, un arco a tutto sesto con pilastri che divide l’ambiente in due parti, ed affreschi con “Storie della Vergine e del Battista“. Nel cortile interno, tenuto a giardino, è posto un pozzo quattrocentesco costruito con grossi blocchi di travertino e con una trabeazione sorretta da due colonne ioniche.