Villa Sciarra sorge alle pendici del Gianicolo, delimitata dalle Mura Gianicolensi, da via Calandrelli e via Dandolo. Fin dall’antichità questa zona era occupata da orti e giardini, tanto che qui sorgeva il bosco sacro della ninfa Furrina, dove nel 121 a.C. Gaio Gracco si fece uccidere dal suo schiavo Filocrate, dopo la sua inutile fuga dall’Aventino. In seguito la zona divenne parte di quell’enorme spazio verde noto con il nome di “Horti Caesaris“, dove la leggenda vuole che Giulio Cesare abbia ospitato Cleopatra durante il suo soggiorno romano: gli “Horti“, alla morte di Cesare, furono lasciati in eredità al popolo romano.
Qui sorgeva anche il piccolo santuario delle divinità siriache (nella foto 1), scoperto nel 1906 durante i lavori per la costruzione della casina del custode della Villa ed il cui ingresso si trova in via G.Dandolo 47. Alcune iscrizioni ivi rinvenute testimoniano che qui esisteva un luogo di culto già dal I secolo d.C., anche se il tempio fu ricostruito successivamente da Marcus Antonius Gaionas, un ricco commerciante siriano, e poi ancora, così come si presenta oggi, nel IV secolo d.C. in seguito ad un incendio. Il santuario si presenta come un corpo di fabbrica allungato, costruito in gran parte con blocchetti parallelepipedi di pietra e si compone di tre settori: un cortile rettangolare di metri 11 x 9 al centro, con l’ingresso a metà del lato lungo meridionale; il secondo è un ambiente dalla curiosa pianta mistilinea, situato a destra del cortile centrale ed accessibile da questo tramite due porte che immettevano in due piccoli ambienti a pianta pentagonale, dai quali si passava in un’aula ottagonale, chiusa ad ovest da un’abside. Qui furono rinvenute alcune sculture: una statua egizia in basalto nero, una statua di Bacco con il volto e le mani dorate ed altre sculture. Al centro dell’aula ottagonale, entro una cavità ricavata in un altare triangolare, furono rinvenute alcune uova ed una statuetta di bronzo raffigurante un personaggio maschile avvolto nelle spire di un serpente: chiaro il riferimento al rito del seppellimento del dio Adone che moriva ogni anno per tornare a nuova vita attraverso le sette sfere celesti simboleggiate dalle sette spire del serpente.
Il terzo settore, a sinistra del cortile, è costituito da un edificio basilicale preceduto da un atrio sul quale si aprono due celle laterali. Un unico ingresso introduce nella navata centrale, conclusa da un’abside in cui si apre una nicchia semicircolare, fiancheggiata da due nicchie minori: la nicchia centrale ospitava la statua di culto più importante, il dio principale della triade di Heliopolis, “Hadad” (“Giove”), mentre le due nicchie laterali ospitavano “Atargatis” (la dea “Syria” dei Romani) e “Simios” (“Mercurio”). La storia di Villa Sciarra inizia nel Quattrocento quando venne costruito il primo edificio sul terreno occupato da una vigna di proprietà della chiesa di S.Maria ad martyres. Nel 1575 il terreno divenne proprietà di monsignor Innocenzo Malvasia che vi fece edificare un casino, un edificio a due piani con loggia; nel 1614 la proprietà fu acquistata da Gaspare Rivaldi, appaltatore delle Dogane Pontificie, finché nel 1653, dopo che il complesso acquistò notevole importanza e valore perché da villa extraurbana divenne urbana a seguito della costruzione delle Mura Gianicolensi, Villa Sciarra fu acquistata da Antonio Barberini che ristrutturò completamente l’edificio insieme al verde circostante.
Dopo un breve passaggio alla famiglia Ottoboni, Villa Sciarra fu di nuovo acquistata nel 1746 dai Barberini, e precisamente da Cornelia Costanza Barberini, moglie di Giulio Cesare Colonna di Sciarra: i figli erediteranno i beni ed il nome della famiglia Colonna di Sciarra e dei Barberini. Nel frattempo la proprietà si era ingrandita talmente da occupare, intorno al primo ventennio dell’Ottocento, tutta l’area del Gianicolo e di Monteverde compresa tra le antiche Mura Aureliane e le nuove Mura Gianicolensi. Nel 1849 la villa fu l’epicentro dei combattimenti avvenuti fra le truppe italiane guidate da Giuseppe Garibaldi e quelle francesi del generale Oudinot: gravi furono i danni subiti dal complesso. L’ultimo proprietario di Villa Sciarra fu il Principe Maffeo II Sciarra che, in seguito ad errate speculazioni finanziarie, perse l’intero patrimonio e così il terreno fu lottizzato in base a convenzioni stipulate nel 1889 tra il Comune di Roma, la Compagnia Fondiaria Italiana e lo stesso principe: una parte divenne suolo edificabile mentre rimase zona verde la parte elevata del Gianicolo. Questa zona, rimasta proprietà Sciarra, venne ceduta nel 1896 a George Clarke e quindi alla Società di Credito e Industria Fondiaria Edilizia, da cui l’acquistarono, nel 1902, gli ultimi proprietari: George Wurts e la ricchissima moglie Henriette Tower.
I coniugi fecero completamente ristrutturare la palazzina in stile neo rinascimentale e ridisegnare il giardino: vi furono collocate numerose statue e fontane del Settecento provenienti da una dimora lombarda di proprietà dei Visconti, il Castello Visconti di Brignano, caduto in rovina e venduto all’asta nel 1898. Il parco si arricchì inoltre di piante rare ed essenze esotiche, palme, ginko biloba, cedri, di viali e boschetti e vi si allevarono i pavoni, tanto che la villa fu denominata “la villa dei pavoni bianchi”. George Wurts morì nel 1928 e due anni dopo la moglie, per riconoscenza verso Roma, donò la villa allo Stato Italiano, a condizione che fosse destinata a parco pubblico: così fu, anche se la palazzina fu destinata a sede dell’Istituto Italiano di Studi Germanici ed a questo fine rimodernata nel 1932 dagli architetti A.Calza Bini e M.De Renzi. La visita a Villa Sciarra inizia dal cancello principale situato in Piazzale Wurts, dove ci accoglie subito la Fontana dei Faunetti (nella foto 2), costituita da due vaschette laterali entro una tazza ovale con parapetto ed unite da una spalliera rocciosa sulla quale poggiano i due piccoli fauni che giocano con una capretta: il gruppo in pietra, di provenienza lombarda, risale al XVIII-XIX secolo.
Situata presso l’altro ingresso in Largo Minutilli troviamo la monumentale Fontana dei Fauni (nella foto 3), costituita da un bacino semicircolare all’interno del quale una coppia di fauni, un maschio ed una femmina, con i loro faunetti, sorreggono sulle loro spalle una valva di conchiglia aperta, mentre l’altra, più piccola, è addossata al muro di sostegno; la parte superiore è coronata da un putto che si libera dalle fauci del biscione, allusione allo stemma araldico della casata dei Visconti, a conferma della provenienza lombarda dell’opera. La palazzina (nella foto in alto sotto il titolo) ha conservato in parte la pianta originaria e presenta una facciata con tre archi, un tempo aperti, dai quali si accede al portico con la volta a botte ribassata; di qui, per un androne, si passava al cortile, trasformato in biblioteca durante il restauro del 1932. L’edificio termina con una bellissima terrazza, sovrastata da una torretta panoramica e da 5 sculture poste lungo i bordi: quattro di esse raffigurano i continenti e la quinta le fasi del giorno. Nello spiazzo antistante l’edificio possiamo ammirare altre due fontane: la prima, quella più vicina alla palazzina, è la Fontana delle Passioni Umane o Fontana dei Vizi (nella foto 4), perché presenta, all’interno di una vasca ovoidale in muratura con bordi in travertino, quattro sfingi raffiguranti le passioni umane o i vizi, appunto, e cioè l’Ira (accovacciata con la zampa anteriore poggiata su un teschio), la Lussuria (posta su un tappeto di fiori), l’Avarizia (poggiata su una cornucopia dalla quale escono monete) e la Gola (accovacciata su una cornucopia piena di frutti).
La seconda fontana, poco lontana, è la Fontana dei Putti o del Biscione (nella foto 5), composta da una vasca mistilinea con una spalliera come sfondo, sulla quale due coppie di putti si tendono reciprocamente le mani in atteggiamento di danza, mentre altri due, situati quasi al centro della vasca, uno dei quali con un elmo in capo, emergendo dalle fauci spalancate di due delfini, sorreggono uno scudo sul quale è scolpito in rilievo il Biscione visconteo sormontato da una corona. Nella foto 6 possiamo ammirare la bellissima esedra arborea ad emiciclo realizzata con lauri che delineano nel verde 12 nicchie contenenti altrettante statue raffiguranti i mesi dell’anno, intervallate da siepi di bosso e cespugli sagomati in fantastiche forme: oltre ad un originale quanto gradevole effetto decorativo, anche quest’opera trasmette lo straordinario amore che i coniugi Wurts riuscirono ad imprimere alla villa.