Piazza Barberini (nella foto sopra), situata tra via del Tritone e via di S.Basilio, prende oggi il nome dall’imponente palazzo Barberini, ma in passato era conosciuta con altre denominazioni, dettate dalle residenze della nobiltà romana che era attratta dall’aria balsamica di questo luogo periferico, posto tra i pendii degli “Horti Sallustiani” ed il colle del Quirinale.
La più antica conosciuta, risalente alla metà del XVI secolo, fu “piazza Grimana” per una vigna ed una casa di proprietà del patriarca di Aquileja, cardinal Domenico Grimani: esiste ancora, come vediamo nella foto 1, all’angolo con via degli Avignonesi, una lapide in omaggio a Paolo V, che ricorda “l’adiacente area Grimana“: “PAULO V PONT OPT MAX OB ADIACENTEM AREAM GRIMANAM NUNCUPATAM GENS GRIMANA GRATI ANIMI MONUMENTUM FECIT“, ovvero “A Paolo V Pontefice Ottimo Massimo, presso l’adiacente area detta Grimana, la famiglia Grimana per gratitudine eresse a memoria”. In seguito, intorno al 1625, la piazza prese il nome di “Sforza a Capo le Case“, per le proprietà del cardinale Sforza, che comprendevano anche la villa del cardinale Rodolfo Pio da Carpi, poste nella zona di Capo le Case. Dopo Alessandro Sforza Santafiora, duca di Segni, il terreno, ove sorgeva la villa Carpi, fu acquistato dal cardinale Francesco Barberini, che vi fece erigere il palazzo dal quale la piazza prese il nome definitivo (anche se l’ingresso al palazzo oggi si trova in via delle Quattro Fontane). La piazza, tranne il maestoso palazzo, era limitata soltanto da abitazioni modeste e da qualche giardino: c’era, in pratica, aria di campagna, con le vecchie accovacciate davanti alle latterie, le pecore, le osterie. La piazza era chiusa, dove oggi è l’imbocco della via Barberini, da uno degli ingressi del palazzo, un grande arco detto volgarmente “il Portonaccio“, dal quale si entrava nel famoso “Teatro Barberini”, eretto dal Bernini nel 1634 come teatro di corte, capace di 2.000 posti, che restò in opera fino al 1873. Furono questi gli anni in cui l’opera del Bernini diede un’impronta magistrale alla piazza. Iniziò nel 1642, ponendo al centro una delle più belle fontane di Roma, la Fontana del Tritone (nella foto sotto il titolo), creata per papa Urbano VIII Barberini.
La fontana, alimentata dall’Acqua Felice, è formata da un bell’intreccio di quattro delfini con la testa in basso ed aventi, fra le code attorcigliate in alto, le chiavi di S.Pietro, la tiara papale e le tre api, simbolo araldico della famiglia Barberini. Le code sorreggono, inoltre, una grande conchiglia con le valve aperte, al centro della quale, quasi a cavalcioni della cerniera, accosciato, si erge con tutto il busto e le gambe squamose il colossale dio marino Tritone (nella foto 2), dalle chiome fluenti, nell’atto di soffiare a guance gonfie entro una enorme buccina che sostiene con le braccia levate verso l’alto e da cui fuoriesce un forte zampillo d’acqua che, ricadendo nelle scannellature della conchiglia, si riversa nella sottostante ampia e bassa vasca quadrilobata protetta da colonnine di marmo. La fontana è stata restaurata nel 1932, nel 1990 e nel 2013.
Il 6 aprile 1644 il Bernini realizzò la Fontana delle Api (nella foto 3), anche questa commissionata da papa Urbano VIII: fu fatta costruire “per comodità dei privati”, cioè una fontana pubblica, ma in definitiva era un “abbeveratore delli cavalli“, che veniva sempre costruito accanto alle fontane monumentali. La fontana, originariamente situata all’angolo con via Sistina ed appoggiata a palazzo Soderini, consiste in un’enorme conchiglia con le valve aperte: una in piano, a fior di terra, per servire da vasca di raccolta, l’altra eretta in maniera da aderire all’angolo del palazzo e con la seguente iscrizione: “URBANUS VIII PONTIFEX MAXIMUS FONTI AD PUBLICUM URBIS ORNAMENTUM EXSTRUCTO SINGOLORUM USIBUS SEORSIM COMMODITATE HAC CONSULUIT ANNO MDCXLIV PONT XXI“, ovvero “Urbano VIII Pontefice Massimo, costruita una fontana a pubblico ornamento della città (la fontana del Tritone), a parte fece fare questa per uso dei singoli (cittadini) nell’anno 1644, 21° del Pontificato”. Sulla cerniera di raccordo tra le due valve vi sono tre api barberiniane, disposte simmetricamente, che versano acqua. Alla fontana è legato uno storico episodio: l’iscrizione originaria era leggermente diversa in quanto dichiarava che “papa Urbano l’aveva fatta fare nell’anno XXII del suo pontificato”, quando mancavano ancora due mesi al raggiungimento del 22° anno. L’inesattezza della data diede luogo a tante critiche, maldicenze e pasquinate che il cardinale Francesco Barberini, nipote di Urbano VIII, mandò uno scalpellino a cancellare una “I”, lasciando scritto soltanto “XXI”. Il risultato fu ancora peggiore: i maldicenti sentenziarono che in tal modo il nipote avesse augurato al papa di non arrivare all’anno 22. Neanche a dirlo, il papa morì otto giorni prima del compimento del fatidico anno di pontificato. La fontana rimase in loco fino al 1867, quando, forse a causa d’intralcio al traffico, venne scomposta ed abbandonata in un deposito comunale. Nel 1915 la fontana fu ricostruita ma collocata, però, all’angolo con via Vittorio Veneto, dove ancora oggi possiamo ammirarla. Purtroppo, i pezzi erano andati tutti smarriti, ad eccezione del frammento contenente l’ape centrale: la ricostruzione risulta abbastanza infedele all’originale, a cominciare dal materiale usato, un grigio travertino recuperato dalla demolita porta Salaria in sostituzione del bianco marmo lunense. La valva inferiore non è più a fior di terra ma rialzata su massi e quella superiore non si poggia più su di un edificio ma risulta isolata. Anche l’epigrafe non è fedele, anche se in sostanza dice la stessa cosa. In passato da piazza Barberini muoveva un orribile corteo, rimasto in uso fino al XVIII secolo: allorché si rinveniva un cadavere sfigurato, lo si poneva su un carretto dinanzi alla fontana del Tritone e poi, dopo una ragionevole sosta, lo si portava in altri luoghi della città mentre un banditore invitava il popolo a riconoscere la salma. Ma dalla piazza si muoveva anche il famoso “Trionfo delle fragole”: carrozze, calessini, carri agricoli adorni di fragole e festoni di fiori partivano con la statua di S.Antonio in testa al corteo, condotta dal più anziano contadino, per raggiungere piazza della Rotonda, dove le cosiddette “fravolare” intrecciavano saltarelli e tarantelle distribuendo ai presenti le fresche fragolette. Una simpatica tradizione andata perduta purtroppo, come tante altre.
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Nella sezione Roma nell’Arte vedi:
Piazza Barberini di E.R.Franz
Ponentino di B.Pinelli