Via dei Lucchesi prende il nome dalla chiesa ivi esistente (nella foto sopra) concessa nel XVII secolo da Urbano VIII alla Confraternita dei Lucchesi, che ne fecero la loro chiesa nazionale. La chiesa, da allora denominata S.Croce e S.Bonaventura dei Lucchesi, in precedenza era chiamata “S.Nicola de Portiis” (dalla famiglia Porcia, in particolare da un Bernardino Porcio di Trejo che fu caporione a Trevi nel 1477), ancora parzialmente visibile nel cortile del Palazzo di S.Felice. Nella prima metà del Cinquecento la chiesa venne ceduta ai frati Minori Cappuccini, i quali nel 1575 vi affiancarono anche un nuovo convento dedicato a S.Bonaventura, nel quale vi passò la maggior parte della sua esistenza S.Felice da Cantalice. Nel 1631 i frati Cappuccini si trasferirono nella chiesa di S.Maria della Concezione, per volontà di Papa Urbano VIII Barberini, il quale destinò la chiesa di S.Nicola, come sopra menzionato, alla “nazione lucchese dimorante in Roma” ed il convento di S.Bonaventura alla “famiglia pontificia”, ovvero al personale di servizio a seguito del pontefice nel periodo in cui quest’ultimo risiedeva nel Palazzo del Quirinale. La concessione avvenne anche grazie al munifico contributo di un ricco giurista lucchese, Alessandro Cantoni, che aveva lasciato in eredità delle grosse somme di denaro ad alcuni suoi concittadini affinché edificassero una chiesa dedicata a S.Croce, patrona di Lucca. Nel 1695 la chiesa fu interamente ricostruita dall’architetto Mattia de Rossi e denominata S.Croce e S.Bonaventura dei Lucchesi; in seguito fu restaurata nel Settecento e poi nell’Ottocento da Virginio Vespignani. La facciata è alquanto semplice: la parte centrale è divisa in tre campate da lesene composite ed è coronata da un timpano triangolare. Il portale, con timpano ricurvo, è sormontato da una finestra con un’elegante cornice. L’interno, a navata unica, presenta tre cappelle per lato ed un bel soffitto ligneo intagliato e dorato che racchiude, entro pesanti cornici finemente lavorate, tre dipinti eseguiti tra il 1673 ed il 1677 da pittori lucchesi, Giovanni Coli e Filippo Gherardi.
Il largo avanti la chiesa, che nel Cinquecento era denominato “piazza delle Erbe” per il mercato di erbe ed ortaggi che vi si teneva, ospita una delle tante lapidi (nella foto 1) presenti a Roma, ma questa è sicuramente degna di menzione: “PER ORDINE DI MONSIG.RE ILL.MO PRESIDENTE DELLE STRADE SI PROEBISCE A QUALUNQUE PERSONA DI BUTTARE MONDEZZA IN QUESTO LOCO SOTTO LE PENE DI SCUDI DIECI CONTENUTE SECONDO LI BANDI PUBBLICATI DEL D(Ì) XIIII (14) LUGLIO MDCCXXXIII (1733). LI MONDEZZARI STANNO AL CAPO CROCE CHE VA A FONTANA DI TREVI E ALLA DATARIA E L’ALTRO SU LA PIAZZA PER ANDARE ALLA PILOTTA”. Con il termine di “capo croce” era indicato, nel Medioevo, un incrocio di quattro strade (“quadrivio”) e normalmente traeva il nome dalla chiesa o dal palazzo più prossimo. Questo, denominato “Capocroce Trejo“, era l’incrocio “che va a Fontana di Trevi e alla Dataria“, ovvero quello posto fra Via dell’Umiltà, Via dei Lucchesi, Via di S.Vincenzo e Via della Dataria. In un documento del 1471 questo crocevia era chiamato anche “presso lo coscio de cavallo“: il termine “coscio” stava ad indicare le mura e “coscio de cavallo” indica il muraglione del Palazzo del Quirinale. L’altro punto di raccolta era situato “su la piazza per andare alla Pilotta“, ossia per andare a Via della Pilotta, mentre la piazza corrisponde all’odierna Piazza della Pilotta, che allora si chiamava “dell’Olmo“.