Via del Tritone prende il nome dalla magnifica Fontana del Tritone dalla quale inizia il suo percorso costellato di imponenti palazzi umbertini alternati ad edifici barocchi e caratterizzato da una grande e qualificata varietà di negozi. La via, un tempo stretta e tortuosa (d’altronde da piazza Barberini in poi, oltre al magnifico palazzo Barberini, c’erano soltanto giardini, vigne e qualche osteria), subì profondi ampliamenti tra la fine dell’Ottocento ed il primo ventennio del Novecento, con espropri e sventramenti, sì da divenire il lungo rettifilo odierno, solo parzialmente interrotto dal largo del Tritone. Prima del toponimo attuale questa via ne ha avuti almeno due, che ne hanno seguito le vicende nel corso della sua storia: alla fine del Cinquecento era denominata “via della Madonna di Costantinopoli” (dalla chiesa, ancora esistente, di S.Maria Odigitria), come confermato anche dalla pianta di Antonio Tempesta del 1693, quando era ancora costeggiata dalla suddetta chiesa, da casupole e da un isolato fino all’altezza di via Capo le Case; il tratto seguente era denominato “via dell’Angelo Custode”, dal nome della chiesa edificata, a cura della omonima Confraternita, da Felice della Greca e Mattia de’ Rossi, che terminava all’altezza di palazzo Poli. Il toponimo “del Tritone” apparve per la prima volta nella pianta di Pietro Ruga del 1824, ma limitatamente al tratto compreso tra piazza Barberini e via dei Due Macelli, mentre il tratto seguente conservava il nome di “via dell’Angelo Custode”. Fu in base al Piano Regolatore del 1873 che la via fu allargata proprio nel tratto più basso, incorporando il “largo dei Due Macelli” (oggi largo del Tritone), via dell’Angelo Custode, parte del vicolo Mortaro e il vicolo Cacciabove: nella parte centrale furono abbattute varie case e venne sventrato il lungo palazzo Poli. Il secondo tratto, quello più alto, fu allargato in accordo con la Società Imprese Fondiarie nel 1905, mentre un altro allargamento di circa 20 metri avvenne tra via della Stamperia e via dei Due Macelli, per consiglio dell’architetto Gino Venturi, nel 1928.
La sopracitata chiesa di S.Maria Odigitria, detta anche “S.Maria d’Itria” (nella foto 1) fu eretta nel 1594 dalla nazione siciliana a Roma insieme con i Maltesi e, nel Seicento, vi furono annessi anche un ospizio ed un collegio per i Maltesi ed i siciliani che venivano a studiare a Roma. Deve il suo nome alla venerata Immagine della Vergine al suo interno custodita, portata a Roma, si dice, direttamente da Costantinopoli: per questo motivo fu soprannominata anche “Madonna di Costantinopoli”. Il termine “Odigitria” significa “colei che indica la via” ed ha radici lontane, risalenti addirittura al V secolo, quando Teodosio II eresse a Costantinopoli tre basiliche mariane, in una delle quali vi era custodita una Sacra Immagine della “Vergine con il Bambino in braccio”. Questa celebre immagine con il tempo venne denominata “degli odeghi”, cioè “delle guide” o “dei condottieri”, perché vi si recavano ad invocare protezione i condottieri dell’esercito imperiale prima di marciare contro i Turchi. Questa celebre Immagine fu considerata la protettrice della città e di tutto l’impero d’Oriente. Furono gli imperatori stessi a portarla alla testa dei loro cortei trionfali, come indicatrice e guida della via, avvalorando in questo modo il titolo di “Odigitria“. Questa chiesa, distrutta e sconsacrata durante la presenza dei Francesi tra la fine del Settecento ed il 1814, fu ricostruita nel 1817 da Francesco Manno; la facciata, opera di Giuseppe Palazzi, reca la scritta “IN HONOREM SANCTAE MARIAE ODIGITRIAE“. Chiesa regionale dei Siciliani, all’interno delle sue quattro cappelle altrettanti artisti siciliani hanno rappresentato, in sostituzione di vecchie tele di maniera, quattro pale d’altare: “S.Lucia di Siracusa” (opera di Salvatore Fiume), “S.Rosalia di Palermo” (opera di Mario Bardi), “S.Agata di Catania” (opera di Sebastiano Miluzzo) ed i papi romani Agatone e Leone II con il patriarca di Costantinopoli Metodio Siculo, in ricordo del legame tra la Sicilia ed il mondo greco-bizantino. L’altra chiesa che diede il nome alla via, quella dedicata all’Angelo Custode, fu demolita nel 1928 per l’allargamento della sede stradale. Vogliamo ora soffermarci su alcuni palazzi che, con la loro imponenza e varietà di stucchi che li decorano, meritano attenzione. Risalgono all’epoca umbertina l’albergo Marini Strand, il palazzo Salimei e quello con i cantonali a punta di diamante. Il primo al civico 17 fu realizzato da Luca Carimini nel 1888 e presenta al pianterreno come delle arcate chiuse entro le quali si aprono le porte dei negozi; al piano nobile si vedono finestre rinascimentali con bozze, cornici con stucchi di vasi e disegni geometrici. Il palazzo Salimei, al civico 36, risale al 1883 ed ospitò i famosi “Magazzini Coen”; dimostra chiaramente la mano di Gaetano Koch con le colonne che scandiscono la facciata al pianterreno, con le finestre al piano nobile con timpano triangolare o curvo e con protomi leonine sotto i davanzali. La facciata è divisa in tre corpi, due laterali più stretti ed il centrale. Nel lato su via Poli è fissata una lapide con due statue nella quale è scritto “Coen, casa fondata nel 1880“.
Francesco Azzurri progettò l’edificio al civico 66 (particolare nella foto 2) nel 1885 con un bel portone architravato, alla cui sommità vi è un volto femminile, e con finestre del mezzanino decorate con protomi leonine. Le bugne ricoprono la parte inferiore dell’edificio che al piano nobile presenta finestre affiancate da paraste decorate con foglioline e con figure di donne sotto il davanzale. Al secondo piano finestre incorniciate da maioliche con disegni floreali; alla sommità corone di frutta con al centro protome leonina o stella alternate. Al piano superiore stucchi di volti femminili e frutta: sotto il cornicione, tra le finestre, vari graffiti con animali alati e rami. Sopra il cornicione stesso vi sono finestre con stipiti decorati da maioliche colorate. Ai lati del palazzo vistosi cantonali a punta di diamante.
I palazzi che dominano largo del Tritone, aperto in occasione della costruzione del Traforo Umberto I (nella foto 3), progettato nel 1905 da Alessandro Viviani per collegare via del Tritone con via Nazionale passando sotto i giardini del Quirinale, furono realizzati nel primo decennio del Novecento in stile liberty dall’architetto Arturo Pazzi. Al civico 152 è situato il “Palazzo del Messaggero” (nella foto sotto il titolo e nella foto 3 quello a sinistra), costruito tra il 1910 ed il 1915 come albergo, il Select: la facciata gioca tutta la sua scenografia nell’alternarsi di balconcini, timpani alle finestre, pilastri di vario ordine, decorazioni a stucco sotto l’ampio cornicione fino all’attico soprastante, ricco di colonne, pilastri e due serliane con varie elaborazioni architettoniche. Il palazzo fu acquistato dai fratelli Perrone nel 1920, allora proprietari de “Il Messaggero”, che ne fecero la sede definitiva del quotidiano.
Sull’altro lato del Largo del Tritone è situato il palazzo (nella foto 4) costruito tra il 1910 ed il 1913 come sede dei Magazzini Old England, per molti anni poi sede centrale della Banca d’America e d’Italia, oggi filiale della Deutsche Bank. L’edificio imponente si adatta bene allo slargo stradale, in una scenografia urbanistica di grande effetto; sviluppa quattro piani oltre quello terreno con finestre dalle grandi cornici, tra paraste con capitelli dalle testine di Mercurio al piano nobile e colonne all’ultimo, con una prora sul fastigio. Il volto di Mercurio con l’elmo alato, dio dei commerci collegati al denaro, è raffigurato tra decori in fregi sulle lesene all’altezza del terzo piano. Al pianterreno apre un bel portale ad arco e sui lati sviluppano varie porte squadrate, ora in funzione di vetrate. Da segnalare il semaforo del largo del Tritone: fu qui posto nel 1925 e risulta il primo impianto semaforico di Roma.
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