La lunghissima strada (2.787 metri) rettilinea che partiva dalla Trinità dei Monti ed arrivava a S.Croce in Gerusalemme era detta “strada Felice“, dal nome di battesimo di Papa Sisto V (Felice Peretti), il quale volle aprire una lunga strada per collegare il Pincio con la Basilica di S.Maria Maggiore e con la vicina sua Villa Montalto. Nella pianta del Nolli del 1748 la via figura in tutta la sua estensione, mentre in quella del 1878 la via è scomparsa. Si frazionò, infatti, assumendo i nomi di via Sistina, Via delle Quattro Fontane, Via Agostino Depretis, via Carlo Alberto, Via Conte Verde, Via di S.Croce in Gerusalemme: tutti nomi, compreso Via delle Quattro Fontane, dati alle vie dopo il 1870. Allorché Sisto V ebbe aperto la sua “strada Felice“, volle che il coronamento di essa, prima di ridiscendere verso l’Esquilino, fosse adornato da quattro statue di santi, poste ognuna ad un angolo del quadrivio. Alle statue di santi furono preferite da Domenico Fontana le quattro fontane (nella foto sotto il titolo) che danno il nome alla via, ognuna sormontata da una statua giacente, più grande del naturale, con sfondi scenografici ed ornamenti vegetali, tra i cui anfratti scorrono rivoli d’acqua che si versano nella vasca. Due fontane rappresentano altrettanti fiumi: l’Arno (in alto a sinistra), con capigliatura riccioluta, affiancato da un leone, emblema araldico di Firenze, ed il Tevere (in alto a destra), rappresentato con l’immancabile lupa ed in atto di sostenere una cornucopia piena di frutta. Poi vi sono la Fontana della Fortezza o della Dea Giunone (in basso a destra), una donna prosperosa rappresentata con i simboli regali del leone e della corona, ed infine la Fontana della Fedeltà (in basso a sinistra), che, fiancheggiata da un cane, si appoggia ad un trimonzio, simile a quello dello stemma sistino. Gli autori non sono conosciuti, ma appare probabile che perlomeno i disegni appartengano a Pietro da Cortona: non si può fare a meno di menzionare che le fontane furono realizzate su blocchi di travertino provenienti dal “Septizodium“.
Presenza importante in Via delle Quattro Fontane è costituita dall’imponente Palazzo Barberini (nella foto 1), situato al civico 13 e realizzato tra il 1625 ed il 1633 sull’antica vigna Sforza per volontà del cardinale Francesco Barberini, ma con il finanziamento dello zio Maffeo Barberini, ovvero papa Urbano VIII. La fabbrica, tra vigne ed orti, sorse come nuovo palazzo residenziale di famiglia, che abitava nella cosiddetta “Casa Grande” in via dei Giubbonari. Il palazzo fu iniziato da Carlo Maderno, alla morte del quale, avvenuta nel 1629, subentrò Francesco Borromini, poi sostituito da Gianlorenzo Bernini. Tradizionalmente sono attribuiti al Maderno il piano di costruzione e le due ali, al Borromini la facciata posteriore, i timpani di alcune finestre del piano più alto e la scala a chiocciola interna con colonne binate, mentre al Bernini la facciata principale, articolata nei tre ordini dorico, ionico e corinzio, e lo scalone, pure a colonne binate ed adorno alle pareti di rilievi romani, sull’ala destra. Dal fianco destro si accede al giardino segreto, presso il ponte realizzato dal Bernini in forma falsamente diruta, dove si trova un piccolo monumento dedicato allo scultore danese Berthel Thorvaldsen che, tra il 1822 ed il 1834, ebbe lo studio nel piano superiore dell’edificio adibito a teatro privato nel Seicento. Questo palazzetto era collegato direttamente al palazzo sul fronte dell’attuale via Barberini, con una facciata curata da Pietro da Cortona dove si apriva un bel portale tra finestrelle quadrate ed un piano superiore. Il teatro fu inaugurato il 23 febbraio 1634 con il melodramma “Sant’Alessio” e restò in attività, sempre come teatro privato, fino al 1642. Riaprì per pochi anni, tra il 1653 ed il 1656, per i festeggiamenti delle nozze tra Maffeo Barberini ed Olimpia Giustiniani. Nel Settecento furono nettamente divisi i due piani e cambiò la sua utilizzazione: il piano superiore fu adibito a magazzino (dove poi Thorvaldsen collocò il suo studio) e quello inferiore a rimessa di carrozza. L’edifico fu demolito nel 1932 per l’apertura di via Barberini. Nel giardino esisteva un antico tempietto detto “Capitolium Vetus“, ossia il “Vecchio Campidoglio”, dedicato alla stessa triade venerata nel “Tempio di Giove” sul Campidoglio (Giove, Giunone e Minerva) ma probabilmente ancora più antico. Nel giardino, dal 1633 al 1773, era collocato anche l’obelisco che oggi fa bella mostra di sé sulla terrazza del Pincio. Il palazzo è ricchissimo di decorazioni pittoriche: al primo piano gli affreschi del grande salone raffiguranti “Il Trionfo della Divina Provvidenza” di Pietro da Cortona,, noto anche come “Trionfo Barberini”, nel quale l’artista rappresentò simbolicamente la Divina Provvidenza che, al centro di una complessa e movimentata allegoria, fa incoronare dall’Eternità lo stemma della famiglia Barberini consistente in tre api, talmente grandi affinché si vedessero anche dal basso.
Il palazzo contiene anche alcuni dipinti che vanno dal XIII al XVI secolo e che fanno parte della Galleria Nazionale d’Arte Antica, con importanti opere di Filippo Lippi, El Greco, Caravaggio, il famoso “Ritratto di Beatrice Cenci” di Guido Reni e “La Fornarina” (nella foto 2), un ritratto che raffigura, secondo la tradizione, l’amante e musa ispiratrice di Raffaello, ovvero Margherita Liuti, figlia di un fornaio di Trastevere, da cui il soprannome “Fornarina”. Non si conosce chi abbia commissionato l’opera, realizzata nel 1520 circa, avvalorando ancor di più l’ipotesi che Raffaello l’abbia dipinta per sé stesso. Piccolo ma importante particolare è rappresentato dal bracciale blu che la donna indossa sul braccio sul quale si può leggere la firma dell’artista, “Raphael Urbinas”. Il dipinto apparteneva già ai primi proprietari del palazzo, gli Sforza di Santafiora, e fu uno dei primi ad essere acquistato dai Barberini.
Anticamente l’ingresso principale era situato su piazza Barberini ma dal 1875 venne trasferito, per motivi di viabilità, su via delle Quattro Fontane: una bellissima cancellata ottocentesca in ferro con otto pilastri in travertino (uno dei quali nella foto 3) con telamoni e sormontati da vasi o dallo stemma dei Barberini, opera di Francesco Azzurri, immette nel giardino antistante il palazzo, dove è situata una bella fontana a candeliere (nella foto 4), opera dello stesso Azzurri.
Formata da una grande vasca ottagonale rialzata sopra uno scalino, sopra una scogliera interamente ricoperta da piante acquatiche si eleva, su base quadrata, un fusto che sorregge un catino circolare sul quale un elegante balaustro sostiene il secondo catino con il beccuccio dello zampillo adorno delle tre api barberiniane.
I quattro mascheroni ornamentali (uno dei quali nella foto 5), disposti simmetricamente verso l’interno, oggi inattivi, e che versavano acqua dal bordo della vasca di base, provengono probabilmente da una preesistente fontana del Bernini. Nel 1645, un anno dopo la morte di Urbano VIII, gli eredi furono accusati di peculato dal nuovo pontefice Innocenzo X e così il palazzo fu confiscato dalla Santa Sede: fu restituito alla famiglia, dopo un esilio forzato in Francia durato sette anni, soltanto nel 1653. La proprietà restò ai Barberini ed ai suoi eredi ultimi, i Sacchetti Barberini Colonna, fino al 1949, quando il palazzo fu acquistato dalla Stato Italiano, che in parte lo destinò a sede della Galleria Nazionale d’Arte Antica ed in parte al Circolo degli Ufficiali.
Un altro edificio degno di nota di Via delle Quattro Fontane è Palazzo Albani Del Drago (nella foto 6), situato all’angolo tra via delle Quattro Fontane e via Venti Settembre. Il palazzo, realizzato da Domenico Fontana tra il 1587 ed il 1590 per Muzio Mattei, fu acquistato a metà del Seicento dal cardinale Francesco Massimo, al quale succedette nel 1677 un altro cardinale, Francesco Merli. Alla sua morte, nel 1707, il palazzo fu acquistato da un terzo porporato, Alessandro Albani e fu allora che l’edificio subì delle modifiche, allungandosi sull’attuale via Venti Settembre (allora denominata “strada Pia”) grazie all’acquisto di una casa confinante e con la trasformazione della loggia del primo piano in galleria chiusa con affreschi di Giovanni Paolo Pannini. L’opera fu compiuta da Alessandro Specchi, che curò anche il perfezionamento del giardino adorno di molteplici simboli araldici degli Albani e la costruzione di una torretta belvedere, situata all’angolo del quadrivio delle Quattro Fontane, esattamente sopra la fontana dell’Arno. L’angolo smussato presenta al primo piano un balcone con balaustra, con porta-finestra entro una nicchia sotto il cui arco si trova uno stucco ovale con l’Immagine di Maria; al secondo piano c’è un altro balcone con ringhiera in ferro, anch’esso con porta-finestra entro una nicchia. L’interno si arricchì con lo splendido patrimonio di statue antiche che venne poi trasferito nella villa di famiglia sulla via Salaria. Il cardinale Albani, un esperto bibliofilo, vi allestì anche un’imponente biblioteca di circa 40.000 volumi, purtroppo andata perduta in seguito all’invasione francese del 1798. L’edificio presenta una planimetria semplice, in cui i vari ambienti sono disposti intorno ad un ampio cortile centrale e ad uno minore. Le sale del pianterreno e gli appartamenti del piano nobile sono resi comunicanti da uno scalone principale che prende avvio dal cortile maggiore e presenta, su una parete ai piedi della scala, lacerti in “opus sectile marmoreum” provenienti dalla cappella di S.Andrea Catabarbara. Agli Albani subentrò a metà dell’Ottocento la regina Maria Cristina, vedova di Ferdinando VII di Spagna, che lasciò anche una sua impronta nell’edificio, ricoprendo il giardino con una sala da ballo. Alla sua morte subentrò il principe Del Drago, suo genero, il quale fece costruire, al piano terreno, un teatrino privato, il “Teatro delle Quattro Fontane”, che rimase in funzione fino al 1914. Degna di essere menzionata anche la presenza nella via di Gabriele D’Annunzio che abitò al civico 159 con la bellissima consorte Maria Hardouin di Gallese ed i figli Mario, Gabriellino e Veniero.
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Piazza delle Quattro Fontane di G.Vasi